Un’idea di Giallo. O di Noir, un’antologia di tredici racconti in giallo e nero curata da Alberto Eva, alla quale partecipo con Ingenuità.
“Il curatore si è posto in mente di determinare cosa sia il giallo; cosa, il noir. Ha dato la sua versione, chiedendo quella degli autori invitati a partecipare all’antologia. Le risposte, sono state le più varie”.
L’antologia (ISBN9788893830850) è curata da Alberto Eva e pubblicata da Carmignani Editrice (2018).
L’immagine di copertina è di Maurizio Pagnini.
GLI AUTORI
Racconti di: Sergio Calamandrei, Linda di Martino, Alberto Eva, Leonardo Gori, Loriano Macchiavelli, Stefano Martinelli, Daniele Nepi, Maurizio Pagnini, Riccardo Parigi e Massimo Sozzi, Enrico Solito, Mario Spezi, Federigo Vinci.
A cura di Alberto Eva.
LA QUARTA DI COPERTINA
Il curatore si è posto in mente di determinare cosa sia il giallo; cosa, il noir. Ha dato la sua versione, chiedendo quella degli autori invitati a partecipare all’antologia. Le risposte, sono state le più varie, e potrebbero essere, in sé, oggetto di un saggio. Interessante è che tutti gli autori, talora in modo implicito, talaltra esplicitamente, rifiutino la categoria del “genere”, che odora di letteratura di serie B. Valga, per tutti, quanto scrive Loriano Macchiavelli, storico e grande autore, indirizzandosi ad Alberto Eva: “Ho trovato il tuo scritto Una tesi straordinariamente importante, e dovrebbero leggerlo ‘color che scrivono per scrivere’. Importantissime due frasi, che sono l’essenza della letteratura: tutto sta nella storia narrata, nei personaggi, nella forma, nella qualità dello scritto. Scrivere in giallo (o noir) per parlar d’altro. Si chiama letteratura”.
Ingenuità
Il racconto col quale ho partecipato all’antologia s’intitola Ingenuità ed è un esperimento di noir comico. Questo è il suo incipit:
“Sii franco ed esplicito col tuo avvocato…
Poi sarà compito suo rendere tutto confuso”
Anonimo
In effetti, mi ero mosso con una certa ingenuità.
E pensare che mi ero complimentato con me stesso per aver avuto l’accortezza di mettermi dei guanti da cucina, per non lasciare tracce.
Invece… Innanzi tutto, mentre aspettavo Simone col coltello in mano, nascosto nell’ingresso della sua villetta, non avrei dovuto usare il telefono fisso che era sulla mensola, per chiamare mamma a casa e chiederle come stava. Io vedo tante serie televisive italiane e ho capito che il cellulare è bene non averlo quando si è coinvolti in un delitto. Infatti, in tivù il cellulare lo perdono sempre, o lo lasciano a casa o si rompe o lo rubano o è scarico o cade in acqua o… niente, dopo qualche puntata ricomincia il ciclo: che lo lasciano a casa, che si rompe, che lo rubano, e così via. Io, per prima cosa, ho pensato di farmelo rubare facendo finta di dimenticarlo al bar, ma poi chi me lo ricomprava? Non sono mica ricco! Allora l’ho lasciato sul mio letto; meglio passare per uno che ha la testa tra le nuvole che rimanere senza telefonino.
Quindi, usai il fisso di Simone per chiamare casa. Rispose la segreteria telefonica: mamma, evidentemente, stava meglio ed era uscita a comprare qualcosa. Non lasciai alcun messaggio e riattaccai.
Avrei, poi, dovuto accorgermi che mentre pugnalavo Simone alcuni dei miei biglietti da visita mi erano caduti dalla tasca del giaccone. Non che questa fosse una gran perdita: erano di quei biglietti da poco che si compongono e si stampano in due minuti con le macchine automatiche che si trovano alle stazioni. Pochi euro, ed ecco che cento biglietti sono pronti. Sui miei avevo scritto: SBOLCI ANDREA, e quindi aggiunto in blu, che è più elegante, UN IMBIANCHINO SOPRAFINO, e poi: indirizzo e numero di telefono della bottega. Il guaio è, che c’era un errore. Il mio amico poliziotto, anzi: ispettore, Donato Gheri, quando ero andato a farglieli vedere, subito dopo averli stampati, mi aveva spiegato che sopraffino si scrive con due effe. Quindi, i biglietti non li avevo dati a nessuno e li avevo gettati quasi tutti nel fosso, a parte quei pochi che casualmente mi erano rimasti nella tasca del giubbotto, e che persi tutti a casa di Simone…