Newsletter Firenze Capitale n. 8 – Una casa fiorentina da vendere
Acqua a tromba: si dice che una casa ha l’acqua a tromba quando, per mezzo di una tromba aspirante, e di condotti di stagno, l’acqua del pozzo si fa salire in un orcio collocato nell’alto della casa, per mandarla, per via da altri condotti che fanno capo ad una cannella, in cucina ed in altre stanze dove faccia comodo. Leggendo questa definizione, ho capito perché in fiorentino l’idraulico viene detto trombaio. La casa che Pietro Fanfani ci descrive nel 1868 nel suo libro Una casa fiorentina da vendere con un racconto morale e un esercizio lessicografico ha l’acqua a tromba ed è una casa signorile. Il volume è stato ripubblicato da Edizioni Polistampa, Firenze, nel 2005. Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza di Firenze, quaderni del servizio educativo n. 10. È la riedizione di un libretto per la scuola del 1868 nel quale l’illustre linguista Fanfani descrive dettagliatamente gli interni di un villino dell’epoca. L’opera è completata da un ampio glossario dove sono spiegati molti dei termini usati nella descrizione. È estremamente interessante perché permette di ricostruire in modo molto preciso come funzionassero gli impianti di una casa dell’epoca e come essa fosse arredata; in altre parole: come si svolgesse la vita quotidiana materiale nei tempi di Firenze capitale. Nella sua introduzione Fanfani spiega: Ho immaginato che in Firenze ci sia una casa da vendere, la quale minutamente descrivo tutta quanta, per avere occasione di nominare gli oggetti più usuali di tutte le case, mettendo in carattere corsivo le voci significative di essi oggetti. Alla descrizione faccio seguire un Esercizio lessicografico, nel quale per l’alfabeto si registrano tutte le voci scritte in corsivo nel corpo del libro; e l’ho fatto stampare in colonna, a ciò che vi resti un bel pezzo di margine bianco, dove i giovinetti di ciascuna provincia possano scrivere, di contro ad ogni voce, la corrispondente de’ loro dialetti… Modo sì fatto pare a me efficacissimo, perché il giovinetto prima vede nella scrittura distesa tutte le voci e il loro collocamento di sintassi: poi se le ribadisce in mente, rileggendole dichiarate nell’Esercizio; e le ritiene di certo quando per la terza volta deve meditarvi su, per trovare il corrispondente del dialetto: e questo esercizio tanto profitterà più quanto è piacevole e dilettoso. Senza che altra utilità grandissima ne avranno gli studi di lingua; che a poco per volta avrà così bell’e preparata la materia per un fedele vocabolario domestico dei dialetti, sol che non gravi ad un maestro di ciascuna provincia il mandarci una copia del libretto, dove siano state scritte in modo certo le voci corrispondenti del dialetto. In altri termini, Fanfani immagina che i maestri delle varie parti d’Italia gli possano rispedire una copia del libro con indicati i termini dialettali usati per chiamare i vari oggetti nella loro zona. Purtroppo tale vocabolario dei dialetti non è stato poi realizzato. Nondimeno il libretto ebbe all’epoca di un discreto successo, tanto da giungere nel 1897 alla quindicesima edizione. Oltre alla descrizione delle singole stanze della casa e al successivo glossario dove in ordine alfabetico sono riportati i significati dei vari termini utilizzati, il libro contiene anche un racconto morale in cui si spiega il motivo per cui la casa è in vendita. Fanfani immagina che una buona famiglia sia stata funestata dal fatto che uno dei due figli si sia rivelato un poco di buono. Da principio le cose andava in bene, se non quanto Federigo, che era il maggiore, si mostrava più cupo e più ritroso di Gualberto; ma quando cominciarono a essere grandicelli, come Gualberto era tutto casa e tutto mamma, così Federigo mostravasi troppo vago di andar fuori a suo piacere, bazzicando con alcuni giovani mal avvezzi e tristi, che gli guastavano l’intelletto e il cuore; … Col crescere dell’età, s’ingolfò sempre più nelle male pratiche de’ più sciagurati e perduti giovani della città, ed ebbe fama ben tosto del peggiore di tutti, giocatore, dissipatore, attacchino, bestemmiatore, provocatore, mancator di parola: aveva tutti i vizi, come dicono le mamme, fuorché quello di mangiare il fuoco. Alla fine i due genitori muoiono di crepacuore a causa dei dolori provocati dal comportamento del figlio maggiore e questi arriva a spacciare falsi biglietti della banca italiana, andando fuori di Firenze, dato che in città non avrebbe avuto successo perché tutti lo conoscevano come malandrino. Sorpreso da due guardie di sicurezza a Figline (evidentemente luogo ben lontano da Firenze, secondo gli standard dell’epoca) mentre spendeva i biglietti falsi, ferisce una guardia e poi uccide un suo complice, convinto che questi lo avesse tradito. Infine, pentito, si costituisce e viene condannato all’ergastolo. Il fratello buono, Gualberto, a quel punto, decide di lasciare Firenze e l’Italia non sopportando di restare a vivere in quella casa così piena di ricordi, che, dunque, viene messa in vendita. La facciata In questa newsletter, riporterò la descrizione generale della casa; nella successiva vedremo un paio di stanze, commentando gli oggetti che si trovano descritti. La casa è di tipo signorile, arredata in un modo che riflette anche l’uso piemontese che, a sua volta, era permeato dal gusto francese. Facciata. La casa che si vuol vendere è posta in una delle più belle strade di Firenze: d’assai pregevole architettura: di tre piani, senza il mezzanino e le soffitte; con bozzato di pietra serena fin sopra al mezzanino, e pietrami lavorati alle finestre, che son sette per piano, fuorché al primo, dove, scambio della finestra di mezzo, ha un vago terrazzino a balaustro di pietra. Nel suo successivo Esercizio lessicografico Fanfani ci spiega il significato di “scambio”, termine che, lì per lì, mi aveva lasciato un po’ interdetto. Scambio. Usato a modo di avverbio, è lo stesso che invece, ed è comunissimo. Questo significato di scambio, seppur allora molto usato, non mi pare sia sopravvissuto nella lingua odierna. Io, perlomeno, non l’ho mai sentito, neppure da giovane. La descrizione della facciata continua: La tettoia della casa è molto sporgente in fuori, secondo L’antico uso di Firenze; ed è sorretta da bellissimi beccatelli d’albero, intagliati e tinti a olio con macchie d’abete; e s’intende che la tettoia ha le sue docce per raccogliere l’acqua piovana, tinte a olio color di pietra, le quali scendono fino a terra e si scaricano nel fognone. L’uscio di strada è d’albero anch’esso, bene scorniciato, e verniciato pulitamente con macchie d’abete: e ha due magnifiche campanelle d’ottone lavorate di buon disegno, ma poste a semplice ornamento, essendovi per ciascun quartiere il suo campanello a scatto. Allora: consultando l’Esercizio lessicografico si capisce che i beccatelli sono mensole, che i verniciatori chiamano macchia ”quelle pennellate di tinta scura che fanno qua e là su mobili a’ quali danno la vernice, per imitare il legno di alcuni alberi che sono così macchiati.” Inoltre, abbastanza sorprendentemente, si apprende che albero non è un termine generico usato, nel nostro caso, come sinonimo di legno, ma è “nome speciale di una pianta simile al pioppo, che ha un legno biancheggiante e non molto duro, di cui si fanno mobili di poco riguardo”. Non ho nemmeno provato a cercare di identificare questo “albero”. Se ti intendi di botanica puoi provare a farlo tu; potrebbe anche essere utile un giretto all’Ikea. Riguardo alle campanelle e ai campanelli a scatto, invece, ho alcune cose da dire. Senza elettricità e citofoni, come si suonava per annunciare una visita e come aprivano dall’alto, i portoni dei palazzi? In realtà, la domanda preliminare dovrebbe essere un’altra: i portoni degli stabili in cui vi erano più appartamenti, erano aperti o chiusi? Pare che in buona parte d’Italia, in particolare a Torino, i portoni rimanessero aperti. I visitatori salivano fino al piano del loro ospite e lì bussavano alla sua porta. A Venezia e a Firenze, invece, i portoni venivano chiusi. Se ne lamenta l’anonimo autore de “La Nuova Capitale – Guida Pratica Popolare di Firenze – ad uso specialmente degli Impiegati, Negozianti, delle Madri di famiglia, e di tutti coloro i quali stanno per trasferirvisi – colla pianta della città – indicante la località dei Ministeri, Pubblici Uffici, Stabilimenti, ecc.” (Torino, 1865 – Tipografia Letteraria). Egli prova così a spiegare questa strana usanza ai poveri torinesi costretti a lasciare il Piemonte per vivere in questa nuova pittoresca città. “Porte. – Voi sapete già che le porte delle case in Firenze (eccettuati i palazzi che possono permettersi il lusso di un portinaio) stanno chiuse dì e notte. Ma chi le apre al bisogno? – chiederete voi. Le aprono gl’inquilini stessi – alla moda di Venezia. Ci spieghiamo. Ogni casa ha in uno dei battenti della porta o nella spalla della medesima tanti bottoni o maniglie che corrispondono, mediante un filo, ad altrettanti campanelli quanti sono i quartieri del casamento. Ognuno di questi bottoni porta ordinariamente il nome dell’inquilino del tale o tal altro piano. E siccome le case sono in generale piccolissime, ed ogni inquilino, per regola, occupa tutto un piano, cosi più spesso i bottoni non indicano che i piani stessi. Ora che sapete ciò, supponiamo che vi occorra d’andare nella tale via a visitare il tale vostro amico. Giunti innanzi alla porta in quistione, voi esaminate ben bene quella schiera di bottoni che somigliano assai al registro dell’organo della parrocchiale; e trovato quello che corrisponde al quartiere del vostro amico, gli date una buona strappata; poi, ciò fatto, alzate il muso al piano corrispondente, per sapere se v’ha gente in casa, e se la vostra scampanellata venne udita. Poco stante – infatti un altro muso, maschile o femminile, s’affaccia ad una finestra, e sia che vi ravvisi, o sia che non conoscendovi vi chiegga chi siate, compiuto il suo esame, tira un altro filo che corre parallelo al filo che avete scosso voi, e la porta si spalanca, e voi salite per una scala piuttosto angusta, e il più delle volte molto oscura. Avete capito? Non neghiamo che quest’uso, se protegge dai ladri le abitazioni, è in compenso molto incomodo e pei visitatori e pei visitandi. Facciamo perciò ardentissimi voti perché diventando Capitale del Regno, Firenze abolisca cotesta noia. E per verità, siccome ogni regola ha le sue eccezioni, vi diremo anche che in molte case s’incomincia già ad essere meno vogliosi di queste strappate di fili dal sotto in su e dal sopra in giù; e si chiude volentieri un occhio se la porta rimane aperta. È un buon augurio. Ma continuiamo la nostra via, e non dimentichiamoci che andiamo a visitare l’amico.” Il Fanfani, nel suo glossario, descrive questi meccanismi in modo più tecnico. Campanello a scatto. Specie di piccola campana, che si pone in una stanza de’ vari piani in una casa rispondente sopra l’uscio di strada, con filo di ferro che scende per un foro giù sino a detto uscio, dove è raccomandato a una molla, la quale si fa scattare tirando a sé un manubrio collocato dalla parte di fuori; e così il campanello suona, e la gente di casa va ad aprire l’uscio, tirando la corda. Corda. Quella sottile fune che, attaccata al saliscendi dell’uscio di strada si fa salire fino a sopra né quartieri; e che, tirandola con forza, alza esso saliscendi, e l’uscio si apre; il che si dice tirar la corda. Ora ci sono a tal fine i fili di ferro variamente congegnati: ma non dimeno si dice sempre tirar la corda, quando chi apre l’uscio sta ne’ piani di sopra. A questo punto, terminata la descrizione della facciata, Fanfani inizia a descrivere le varie stanze. Ho trovato molto interessanti la toilette e la stanza da bagno. Ma ne parliamo nella prossima newsletter. Aggiornamenti della pagina Facebook di Firenze Capitale BORGO PINTI La zona di Borgo Pinti, qualche anno prima di Firenze Capitale, viene così descritta da Giuseppe Conti in Firenze Vecchia: “Verso Pinti, il cattivo odore si faceva anche più serio, cambiandone altresì l’origine. In un breve tratto c’era la fabbrica delle candele di sego: e non è possibile rendere con efficacia ciò che si provava dovendoci passare: e del pari, non era possibile comprendere come potevan fare a resistere quei disgraziati che stavan lì a far bollire nelle caldaie il grasso di manzo e lo colavano poi nelle forme di 132 latta delle candele di varie grandezze. Era una cosa nauseante e ripugnante, che rivoltava addirittura lo stomaco. E dire che c’eran dei ragazzi che rimanevano incantati a veder far le candele, come se fossero stati in una profumeria! Ma più di tutti ci si spassarono poi i tedeschi, quando vennero in Firenze e che montavan la guardia alle porte, per quella loro ghiottoneria che avevano per il sego. Risalendo un po’ la strada poiché quando le mura si avvicinavano alle porte il piano era in discesa, e continuando per la Porta a Pinti, in faccia al Vicolo della Mattonaia che metteva in Borgo la Croce si scorgeva il grazioso villino Ginori con le due cupolette a squamme gialle e turchine, ed in quel punto delle mura esisteva un vuoto ad arco come una gran nicchia tutta nera, e piena d’una fuliggine lustra come unta. Quello era il luogo dove i verniciatori, i mesticatori e i legnaioli, andavano a far le vernici, poiché non era permesso di farle in città, a causa dei frequenti casi in cui scoppiavano i matracci, e che potevano esser causa d’incendi. In cotesta località, quasi deserta e fuori di mano, andavan pure i carradori a piegare i cerchioni delle ruote dei barrocci e dei carri; operazione che si faceva con sistemi molto primitivi, poiché facevano in terra un gran cerchio di grandi scheggie fatte coll’ascia nel modellare il legname, e vi mettevano sopra i cerchioni, che con delle grosse morse piegavano quando il ferro era rosso. Dopo si trovava la Porta a Pinti la quale venne demolita insieme alle mura, per comodità della linea dei viali e per non sopprimere il piccolo e grazioso Cimitero detto “degli Inglesi.” La Porta a Pinti era opera essa pure di Arnolfo, ed ebbe forse miglior sorte ad esser distrutta, anzi che rimanere per l’oggetto a cui servono le altre. Fino alla Porta a San Gallo col suo loggiato esterno che serviva di corpo di guardia, non c’era altro di notevole; ma a pochi passi dalla porta sorgeva elegante e curiosa per la bizzarra struttura la Torre del Maglio, demolita essa pure con l’abbattimento delle mura, e chiamata anche l’acquedotto, perché di lì si diramava l’acqua di Pratolino che a quei tempi era tenuta in conto più dell’acqua benedetta.” Questo è il link per andare alla pagina Facebook su Firenze Capitale |
Forse ti può essere utile
BONUS: i quaderni del Servizio Educativo della Soprintendenza di Firenze
Io ne ho parecchi e li trovo davvero interessanti. Riporto dal sito della Soprintendenza.
“Quaderni del Servizio Educativo
I Quaderni del Servizio Educativo nascono con il duplice obiettivo di fornire materiali per la conoscenza delle città e del territorio di Firenze, Prato e Pistoia, e di documentare i risultati di progetti d’incontro e di studio del patrimonio artistico e culturale realizzati con le scuole di questa stessa area.
Più in particolare, i Quaderni offrono aperture sulle emergenze del territorio e delle città, ma anche sulle tradizioni popolari e sulla religiosità, con una particolare attenzione all’opera d’arte e al manufatto artigianale nel loro documentare la storia della vita quotidiana.”
Editi dal 2004 per le cure delle Edizioni Polistampa, sono strutturati in un ampio saggio al quale segue un’antologia di scritti sull’argomento e quindi una ricca bibliografia di riferimento commentata. L’apparato illustrativo privilegia (per scelta editoriale) incisioni e disegni a tratto. Propongono una lettura piacevole e istruttiva (talvolta poetica grazie ai materiali antologici dovuti ai più grandi scrittori locali) per chiunque ami la Toscana e la sua tradizione culturale e artistica.”
Li puoi trovare qui nel sito di Edizioni Polistampa (e in diverse bancherelle).
Grazie |
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Sergio Calamandrei Firenze, Italia www.calamandrei.it Hai ricevuto questa mail perché ti sei iscritto alla mailng list su Firenze Capitale. Puoi revocare l’iscrizione in qualsiasi momento. Revoca l’iscrizione |