SM1 Indietro non si può: incipit ed estratti
INCIPIT ed ESTRATTI da SESSO MOTORE 1: INDIETRO NON SI PUO’
Arturi alla cyclette
Riccardo Puccetti, Conte di Gaiole, morì in un modo sfortunato anche dal punto di vista mediatico. Lo uccisero, infatti, il 4 novembre 1995, lo stesso giorno in cui a Tel Aviv un estremista di destra contrario al processo di pace con i palestinesi sparò al premier Yitzhak Rabin.
All’omicidio del conte Puccetti, avvenuto a Napoli nel corso di una rapina andata storta, il telegiornale dedicò quindi solo pochi secondi.
Io però me li ricordo bene. Stavo schiantando in cyclette alla Extreme, una palestra fiorentina situata nei pressi della questura e convenzionata con la Polizia di Stato, dove mi facevano lo sconto anche se avevo lasciato il corpo da qualche anno. Molti miei ex colleghi andavano in quella palestra; alcuni li consideravo degli amici, altri sinceramente no, ma mantenere i contatti con tutti mi tornava comodo ora che lavoravo come investigatore privato. Alla palestra cercavo di andare almeno tre volte la settimana. Era indispensabile per tenermi in forma: avevo superato i cinquanta e poi il colesterolo e i trigliceridi imperversavano senza freni ormai da anni nel mio sistema circolatorio.
Stavo sudando come una bestia perché avevo accettato di fare una gara collegando la mia cyclette con quella di Piero Federici e lui mi stava andando via su una salita micidiale. Federici aveva un paio d’anni meno di me e un tempo era stato anche mio sottoposto. Ora era arrivato a essere vice questore aggiunto, ma io continuavo a chiamarlo commissario perché vice questore aggiunto è un titolo che mi è sempre stato antipatico: millanta di essere il sostituto del questore, mentre in realtà non c’entra niente, è solo il più alto dei gradi non dirigenziali della Polizia. Comunque fa sempre un bell’effetto quando ci si presenta. Piero era, per così dire, un tipo ben poco diplomatico e ciò ogni tanto gli creava qualche problema in questura, proprio come a suo tempo era capitato anche a me. Alto e magro, stava pedalando come un ossesso e sullo schermo della mia cyclette vedevo la figurina che rappresentava l’avversario allontanarsi sempre di più. Nella televisione posta innanzi alla fila delle cyclettes stava passando un servizio che ricostruiva la vita di Rabin, ma non sentivo quasi nulla, un po’ a causa dello sforzo che stavo facendo, un po’ per le urla dell’insegnante di ginnastica che, nella sala accanto, stava brutalizzando una decina di signore con una sequenza di step infinita. Non potei fare a meno di pensare che fino a sei mesi prima in quella palestra insegnava una ventenne sempre allegra e piena di vita. Se avessi avuto fiato, avrei sospirato. Strano a dirsi, non le dispiacevo affatto. Ma avrebbe potuto essere mia figlia e non mi era parso il caso: non se lo meritava.
Ripensandoci, era da diversi anni che per un motivo e per un altro non mi pareva mai il caso, con nessuna, e la cosa cominciava a pesarmi.
Stavo per immalinconirmi ma per fortuna in quel momento Federici iniziò a salutarmi con la mano e a canticchiare: – Addio, addio, Arturi… – poi fece: – Non ti vedo neanche più nel monitor… Ecco che arrivo – e alzò le braccia come un ciclista sul traguardo.
– Fandomo!
Fu allora che al telegiornale smisero di parlare di Israele, dei palestinesi e di tutto quell’infinito casino. Apparve lo speaker e, sullo sfondo, dietro di lui, l’immagine di un bell’uomo dal volto sorridente.
– Stamani, a Napoli – annunciò il giornalista – nel corso di una rapina ha perso la vita Riccardo Puccetti, Conte di Gaiole. I Puccetti sono una delle più antiche famiglie nobili fiorentine. Il conte Puccetti, che era a Napoli per motivi d’affari, è stato ucciso da un rapinatore isolato in una via secondaria del centro della città partenopea. Secondo fonti della questura, tenuto conto della zona del delitto e delle sue modalità, appare probabile che il rapinatore, forse un tossicodipendente, non appartenga alla criminalità organizzata e sia piuttosto uno sbandato fuori controllo.
– A Napoli, niente è fuori controllo – mormorò Federici.
Annuii.
…Omissis
Arturi e la Contessa
– Mi scusi, Arturi, avrei un problema – disse Marco Carboni affacciandosi alla porta del mio ufficio.
– Che problema? – feci brusco, interrompendo di malavoglia la lettura di Come si scrive un giallo di Patricia Highsmith.
– Potrebbe venire di qua? – e scomparve.
Mi alzai sbuffando e lo raggiunsi nel corridoio. Notai che la scrivania di Norma era deserta, ma subito mi ricordai che la mia segretaria era andata a ritirare dei documenti.
– Mi sono reso conto – disse – che l’università ci fornisce una istruzione del tutto teorica che non ci prepara affatto ad affrontare il mondo del lavoro.
Annuii.
Lui indicò la fotocopiatrice. – È finita la carta, credo; cosa devo fare?
Senza dire una parola, gli mostrai come si apriva il cassetto e lo riempii di fogli. La spia della macchina tornò verde. Carboni sorrise felice.
– In effetti – feci, tornando verso la mia stanza – dei miei amici dirigenti d’azienda sostengono che i giovani d’oggi non hanno più la capacità di affrontare gli ostacoli e gli imprevisti lavorativi, ma così mi pare che si esageri, Carboni.
– Vuole che scenda a prenderle un caffè, magari con una sfoglia alla crema? – chiese, ma prima che potessi rispondere qualcuno suonò il campanello.
Marco si diresse verso l’ingresso e io rimasi nel corridoio, curioso di vedere chi fosse, dato che quella mattina non aspettavo nessuno.
Il portoncino si aprì e una donna alta ed elegante con dei folti capelli corvini entrò con passo elastico nel mio studio, illuminandolo con un sorriso che metteva in risalto i bei denti e le labbra carnose. Son quasi quarant’anni che ho superato la pubertà ma di fronte a spettacoli come questo non cesso di intenerirmi. Aveva alla destra della bocca un delizioso neo tirabaci che svolgeva con maledetta efficienza il proprio compito. Rimasi interdetto, era così bella da fare male.
Chissà perché, mi venne in mente la frase di Flaiano: “I grandi amori si annunciano in un modo preciso; appena la vedi dici: – Chi è questa stronza?”
La mora si diresse decisa verso di me, passando oltre a Carboni. Udii appena il mio assistente domandare: – Ciao, Renzo, che ci fai qui? – all’uomo che entrò dietro la donna, ma non ebbi tempo di vedere chi fosse perché lei nel frattempo era arrivata e mi sorrideva, porgendomi la mano.
– Sonia Breschi Puccetti. Lei è Arturi, vero? – Una nuvola del suo profumo intenso mi avvolse, confondendomi non poco. Ma mi ripresi subito.
– La contessa Puccetti? – chiesi.
Fece segno di sì con la testa e sorrise mesta.
– Mi dispiace molto, Contessa, per la disgrazia di suo marito – dissi.
Prima che potessi aggiungere altro, l’accompagnatore di Sonia ci aveva raggiunti. Lo riconobbi subito: era l’avvocato Renzo Parisi, un amico di Carboni; li avevo conosciuti nel corso della stessa indagine.
Ci salutammo e feci accomodare gli ospiti nel mio studio. Entrò anche Carboni che aveva una certa tendenza a intrufolarsi anche dove non era richiesto. In considerazione della sua amicizia con Parisi, lasciai correre.
Fu la contessa a iniziare a parlare. Si era tolta il cappotto e indossava un tailleur grigio perla, con una camicetta bianca. Aveva un trucco leggero, che però bastava e avanzava.
– Ci deve scusare se siamo piombati nella sua agenzia senza prima chiamare per un appuntamento, ma ho preferito evitare i telefoni perché di questi tempi le intercettazioni van di gran moda; voglio che questa faccenda venga gestita nella massima riservatezza. – Annuii. La mora continuò: – Sono venuta qui su consiglio del mio nipotino Renzo che mi ha assicurato che lei è davvero in gamba.
Renzo Parisi fece una smorfia e guardò seccato la zia, che evidentemente si divertiva spesso a prenderlo in giro con questa storia del nipotino.
– Sonia è la sorella minore di mia madre. Molto minore.
– E quindi siete zia e nipote – dissi. – Stranissima questa cosa; dovete avere quasi la stessa età. Ma lei quanti anni ha, Contessa? Mi scusi l’indiscrezione, ma mi serve per inquadrare bene la sua situazione… da un punto di vista professionale.
La donna sorrise, cosa che sapeva fare benissimo.
– Diciamo che ho più di vent’anni e meno di trenta.
La guardai un po’ incerto. Era conservata benissimo, di certo grazie a molta ginnastica e senza aiuti chirurgici, ma la trentina doveva averla superata. Azzardai: – È sicura?
Lei sorrise ancora.
– Sono dannatamente sicura, Arturi, di aver più di vent’anni. Ma perché insiste su questi particolari… burocratici?
– Mi scusi. Ha ragione. Sono stato indelicato. Purtroppo è una cosa che mi capita spesso facendo questo lavoro.
– Non importa… Lei già sa che purtroppo Riccardo Puccetti, mio marito, è… – per un istante esitò come per cercare un termine più neutro, ma poi disse, semplicemente: – è morto da poco più di un mese.
Avevo ben presente. A Napoli, quella rapina. Il colpevole non era ancora stato identificato. La vedova aveva abbassato gli occhi e fissava il piano della mia scrivania. Mi rammaricai per il disordine che c’era e chiesi: – Quanti anni aveva suo marito?
– Ormai aveva una certa età; era molto più anziano di me – rialzò gli occhi verdi e me li puntò in faccia – stava per compiere quarantanove anni.
Fanculo! Io ne ho più di cinquanta. Mi detti del cretino per aver voluto stuzzicarla sulla sua età e le feci cenno di proseguire.
– Ho un problema e ho bisogno del suo aiuto. Nel corso dei funerali in Santa Croce, tra le centinaia di persone che c’erano, venni avvicinata da un signore che non avevo mai incontrato prima. Mi lasciò un suo biglietto da visita dicendo che mi avrebbe chiamata presto perché doveva parlarmi di una faccenda di mio marito.
La contessa a questo punto si interruppe e chiese: – Posso fumare?
Carboni fece una faccia schifata: è un dannato salutista. Io allungai alla Puccetti il portacenere che tenevo sulla scrivania. Lei si accese una sigaretta sottile e continuò.
– Mi telefonò tre giorni dopo e fissammo un appuntamento. Quando venne, disse che gestiva una libreria antiquaria dove mio marito andava spesso.
– Come si chiama?
– Saverio Torrini. Ha il negozio in centro.
– Io conosco uno con quel nome che è anche editore. Ha circa quarant’anni; un bell’uomo – feci.
– È lui. Oltre alla libreria gestisce la Torrini Editrice.
Andiamo bene! pensai, ricordando la fama del Torrini. Ma non lo dissi. Lei proseguì.
– Saverio è una persona davvero squisita. È gentile e ha una cultura vastissima, in particolare sui libri e sulla letteratura. Mi raccontò che mio marito gli aveva ordinato un esemplare de Il Christo Passo di Francesco Pona, del 1629, e che lui se l’era procurato. Ma il volume gli era arrivato solo dopo la morte di Riccardo. Ora, se io non avessi voluto ritirare il libro, Torrini non avrebbe fatto problemi e se lo sarebbe tenuto; anche perché affermava che avrebbe potuto rivenderlo con facilità per un prezzo maggiore di quello di favore che aveva concordato con mio marito. Lasciava a me la scelta sul da farsi.
– Cos’è questo Christo Passo? – domandai.
– È un dramma sacro. Torrini mi ha spiegato che Pona aveva pubblicato un libro licenzioso, Lucerna, e che volle redimersi scrivendo questa tragedia, che dedicò al Vescovo di Verona, e anche un’altra opera: l’Antilucerna… Pona doveva essere proprio un senza palle. Odio quelli che prima peccano e dopo si piangono addosso.
– E quanto voleva Torrini per Il Christo Passo?
– Quattro milioni e seicentomila lire.
Alla faccia! pensai. E anche questa volta non lo dissi. Ho una discreta conoscenza dei libri antichi e, a occhio e croce, un libro del genere, una sconosciuta tragedia sacra, poteva valere al massimo un milioncino. La contessa sorrise, ispirò e poi si lasciò avvolgere da una nuvoletta di fumo. Vidi che Parisi, seduto accanto a lei, teneva la testa voltata dall’altra parte e ogni tanto soffiava per scacciare la coltre che si stava formando. Carboni era in piedi nell’angolo più lontano della stanza. Questi giovani d’oggi non hanno più spina dorsale. Sonia riprese a parlare.
– Naturalmente glielo lasciai. Torrini non fece una piega e continuammo a lungo a parlare di libri rari e della biblioteca di mio marito. Riccardo aveva la passione per i volumi antichi, soprattutto per quelli di genere erotico. Aveva arricchito con moltissimi acquisti la collezione dei Puccetti. A oggi, direi che ho in casa circa novemila esemplari. – La contessa continuò; il grazioso oscillare del suo neo mi stava incantando. – Riccardo aveva parecchi pregi ma non era un tipo metodico, comprava libri a ripetizione e non gli è manco passato per il capo di aggiornare la catalogazione che avevano fatto i suoi avi. Da un pezzo non c’è più spazio nella libreria vecchia della nostra villa, quella dedicata ai libri antichi. Diversi volumi sono accatastati in degli scatoloni, e non è un bello spettacolo. Ho quindi bisogno di liberarmi di un po’ di roba.
La guardai perplesso. La tipica, irragionevole, passione delle donne per lo svuotare gli armadi gettando le cose vecchie. Dei mariti.
Sonia intercettò il mio sguardo.
– Beh, tra novemila volumi c’è anche un mucchio di paccottiglia – aggiunse. Non ero per niente convinto, ma feci cenno di sì con la testa. Lei proseguì. – Io non sono un’esperta e non avrei saputo neanche da che parte cominciare per aggiornare gli elenchi della biblioteca Puccetti. Quindi ho incaricato Torrini di riordinare e catalogare gli acquisti di mio marito e di dare un’occhiata in generale per poi indicarmi i libri più scarsi che potevo dar via senza impoverire la collezione. Da allora, lui viene a casa mia un paio di volte alla settimana per portare avanti questo lavoro.
S’interruppe ancora per tirare un paio di boccate veloci dalla sigaretta. Io mi chiesi come avesse fatto una donna che appariva così in gamba a fare una cazzata simile. Lei riprese a parlare.
– A un certo punto, però, ho iniziato a tenerlo d’occhio, perché alcuni suoi discorsi non mi convincevano.
– Ha fatto bene, Contessa. Spesso accade che, in occasione delle morti di collezionisti, dei librai antiquari si precipitino dalle vedove per truffarle, acquistando opere rare a prezzi stracciati. Forse la storia del Christo Passo era solo una balla inventata dal Torrini per entrare in contatto con lei.
– Può darsi. – Sonia spense la sigaretta nel portacenere, con grande soddisfazione del nipotino e del mio assistente. Mi ripuntò quei suoi due fanali verdi negli occhi e riprese a raccontare. – Torrini non mi convinceva perché parlando della biblioteca di mio marito non faceva altro che esaltarmi una prima edizione aldina del 1502 delle Terze Rime di Dante e i dodici volumi delle memorie del Casanova pubblicate a Lipsia nel 1822. Certo sono dei gran bei libri, quotati sui venticinque, trenta milioni di lire, ma io sapevo benissimo che gli esemplari più importanti della collezione erano un Les liaisons dangereuses di Choderlos De Laclos del 1782 e la famosa edizione “ventisettana” del Decamerone. Di queste due opere Saverio non mi ha mai fatto cenno. – Serrò per un attimo le labbra. – Le relazioni pericolose è un’edizione in dodicesimo, in quattro parti raccolte in due volumi, che può valere sui cinquanta milioni di lire. Il Decameron può andare sui quaranta.
Annuii; la Ventisettana, chiamata così perché venne pubblicata nel 1527, è l’edizione fiorentina in quarto del Decamerone stampata dal figlio di Filippo Giunta, il primo dei Giunti che operarono come tipografi, editori e librai a Firenze, Venezia e in molte altre città d’Europa.
La vedova continuava a guardarmi fisso negli occhi e alla fine io abbassai lo sguardo, anche perché dirigerlo sui seni di Sonia non era comunque una cattiva opzione.
– Lei, Contessa, non è poi così sprovveduta in fatto di libri – osservai.
– Diciamo che, visto che mio marito spendeva un mucchio di milioni nell’acquisto di volumi antichi, ho cercato di capire dove stesse buttando tutti quei soldi.
– Comprendo.
– Bene… Quattro giorni fa mi sono resa conto che i due volumi de Les liaisons dangereuses sono spariti dalla biblioteca.
– Ha denunciato il furto alla Polizia?
Fece una smorfia; deliziosa, a dire il vero.
– Lei mi delude, Arturi. Io non ho nessuna prova che sia stato Torrini a prendere Les liaisons e la sola cosa che voglio è recuperare quel libro. Non m’importa nulla che Saverio vada in galera o meno. Ma se lo denuncio sono quasi sicura che quei due volumi non li rivedrò mai più, dato che non credo che lui sia così stupido da tenerseli in un posto in cui la Polizia possa ritrovarli. Mi sono rivolto a lei perché me li faccia restituire.
– E come convincerò Torrini a renderle il libro di De Laclos? Se pensa che io lo pesti, ha sbagliato indirizzo. Chieda a un paio di albanesi, le costeranno certo meno di me.
La contessa sorrise. Intervenne Parisi, anche per dare un senso alla sua presenza in quella stanza.
– Ha equivocato, Arturi. Nessuno si sogna di chiederle di fare una cosa del genere. Io e Sonia pensavamo che lei potrebbe mettere delle videocamere nella biblioteca e ottenere così la prova che Torrini è un ladro, dato che certo porterà via qualcos’altro, probabilmente il Decamerone. Se avremo un filmato che lo riprende mentre ruba, potremo andare da questo signore e farci restituire Le relazioni pericolose.
– Però non è male neanche l’idea degli albanesi – osservò la contessa.
Parisi proseguì: – Nello stesso tempo, la sua agenzia potrà darsi da fare con discrezione sul mercato dei libri antichi per vedere se qualcuno sta mettendo in vendita il libro di De Laclos.
– Siamo sicuri che gli albanesi proprio no, Renzo? – fece la Puccetti.
– Non è il momento di scherzare, Sonia – rispose l’avvocato, scuotendo la testa.
La contessa posò i gomiti sulla scrivania, si sporse verso di me, seni compresi, sorrise e disse: – Il mio nipotino è sempre così serio. E rispettoso delle leggi.