Consigli sulla scrittura
Dalle letture dei libri che danno consigli sulla scrittura ho tratto questa serie di indicazioni (anche se resta valida la regola fondamentale: “ogni regola può essere violata”).
STEPHEN KING – On Writing
- Se una frase lunga non funziona, provare con due frasi brevi
- Niente avverbi, soprattutto nei dialoghi (disse irosamente)
- No frasi passive
- No descrizione del carattere del personaggio attraverso la descrizione fisica (intelligenti occhi blu)
- Identificare di cosa parla il libro (il tema) e renderlo il più chiaro possibile. Ma no ai messaggi espliciti.
- Sulla revisione:
- Uccidi i tuoi cari! (ovvero: non avere pietà di quello che hai scritto)
- La seconda stesura è pari alla prima meno il 10%
VINCENZO CERAMI – Consigli a un giovane scrittore
(il numero di pagina si riferisce alla edizione Einaudi tascabili Stile libero)
- Ogni storia deve narrare un conflitto (pag. 60)
- La tinca, ovvero il personaggio secondario senza personalità e carattere inserito solo per far progredire la trama in una certa direzione (pag. 79)
- Evitare telefonate nei dialoghi (pag. 117); il contenuto informativo nei dialoghi dovrebbe essere minimo, come nelle scene madri (dare informazioni nelle scene figlie)
- Tirare le molle ed i tiranti (metonimie), ma nascondere la griglia narrativa e la funzionalità necessaria di alcune sequenze (pag. 101)
- evitare Cane-cane; gatto-gatto (ripetizione di informazioni già fornite) (pag. 119)
GIULIO MOZZI – Otto cosette utili da sapere per scrivere dei dialoghi accettabili
Sono riportate nella pagina Come scrivere i dialoghi.
MARIO VARGAS LLOSA – Lettere a un aspirante romanziere
- Gli spostamenti (che danno un salto qualitativo alla storia – improvvisi o graduali)
- nello spazio (rapporto tra narratore e storia – narratore esterno/interno)
- nel tempo (da presente a passato)
- nel livello di realtà (da reale a fantastico)
- I vasi comunicanti (scene contemporanee che influiscono l’una sull’altra)
- Il dato mancante (che può venire fuori solo in seguito oppure anche mai). Ovvero: non dire una cosa può essere il modo migliore di dirla
- Le scatole cinesi
Il famoso esempio di Alfred Hitchcock
- Se mostri due che giocano a carte ed ad un certo punto il tavolo esplode, avrai una sorpresa. Se mostri due che giocano a carte, poi mostri sotto il loro tavolo una bomba che sta per esplodere, avrai suspense.
Tutto dipende quindi da quello che si vuole avere.
KURT VONNEGUT – Eight rules for writing fiction
- Use the time of a total stranger in such a way that he or she will not feel the time was wasted.
- Give the reader at least one character he or she can root for.
- Every character should want something, even if it is only a glass of water.
- Every sentence must do one of two things — reveal character or advance the action.
- Start as close to the end as possible.
- Be a sadist. Now matter how sweet and innocent your leading characters, make awful things happen to them — in order that the reader may see what they are made of.
- Write to please just one person. If you open a window and make love to the world, so to speak, your story will get pneumonia.
- Give your readers as much information as possible as soon as possible. To heck with suspense. Readers should have such complete understanding of what is going on, where and why, that they could finish the story themselves, should cockroaches eat the last few pages.
Kurt Vonnegut, Bagombo Snuff Box: Uncollected Short Fiction (New York: G.P. Putnam’s Sons 1999).
Le dieci regole per scrivere un buon giallo di Carlo Lucarelli
1) Partire da un “mistero misterioso”, vale a dire coinvolgente, inquietante. Uno di quei misteri che non ti dai pace se non sai come vanno a finire.
2) Centellinare le informazioni al lettore. Non raccontare tutto subito. Mantenere un’atmosfera di sospensione.
3) Portare il lettore verso una prima soluzione del mistero. Poi con un colpo di scena aprire la porta ad un mistero successivo.
4) Creare un buon personaggio-guida.
5) Creare un buon personaggio che infittisca il mistero, che lo renda più complicato.
6) Situare la storia in un’ambientazione conosciuta e credibile.
7) Mantenere un ritmo di scrittura incalzante.
8) Costruire una macchina narrativa, una storia, per raccontare qualcosa che si ritiene importante (n tempo lo chiamavano il “messaggio”)
9) Scrivere con lo stile migliore. Scegliere le parole più belle.
10) Dimenticare tutte queste regole.
Tratto da Anonima Assassini. I delitti di Orme Gialle. Editrice Tagete. Raccolta dei racconti premiati e segnalati nella X edizione (2006) del premio Orme Gialle, con prefazione di Douglas Preston e con un intervento di Carlo Lucarelli.
Consigli sulla revisione, di Danila Comastri Montanari
Autrice di numerosi gialli e di “Giallo antico. Come si scrive un poliziesco storico”
Da I ROVELLI DEGLI SCRITTORI (post su FB)
- Controllare che i personaggi siano sempre sicuramente identificabili;
- controllare che sia sempre chiarissimo in un dialogo chi sta parlando con chi;
- controllare che nessuno dei personaggi dia per scontate cose che non può sapere;
- controllare che ciò che è noto a chi ha scritto il testo sia evidente anche a chi lo legge;
- controllare che non vi siano mai due “che” relativi di seguito dipendenti l’uno dall’altro nello stesso periodo;
- controllare che un termine non sia ripetuto nello spazio di mezza pagina (a meno di non volerlo enfatizzare apposta);
- controllare che quando si usa un sinonimo sia lampante a che vocabolo si riferisce;
- controllare che non vi siano orribili rime non ricercate (la qualcosa è improba in una lingua dove il grosso dei verbi è della prima coniugazione);
- controllare che le eventuali allitterazioni siano tutte volute e non frutto di distrazione;
- controllare che vi sia un punto a capo quando cambiano il soggetto o l’argomento;
- controllare che non vi siano nella trama grosse incongruenze o dettagli inspiegabili;
- levare tutti i puntini di sospensione e i punti esclamativi ridondanti;
- spezzare i periodi troppo lunghi.
Consigli sulla revisione, di Jerry B. Jenkins
Benché non particolarmente originali, è bene ricordare sempre questi punti, quando si fa una revisione:
Diventa un feroce ed aggressivo editor di te stesso.
Questo significa:
- Ometti parole inutili.
- Scegli la parola semplice su una più complessa.
- Evita ridondanze strane come: “Ha pensato nella sua mente …” (Dove altro si potrebbe pensare?)
- Generalmente rimuovi il più possibile il che, usalo solo quando è assolutamente necessario.
- Dai credito al lettore e resisti alla tentazione di spiegare, come in: “Ha attraversato la porta aperta.” (Abbiamo bisogno di specificare che è aperta?)
- Evita troppa scena (raccontare ciò che ogni personaggio sta facendo con ogni arto o dito).
Le famose venti regole di Van Dine
S. Van Dine è lo pseudonimo di Willard Huntington Wright (1888 – 1939), noto autore di gialli statunitense creatore del personaggio di Philo Vance.
I suoi romanzi sono gialli classici, basati sulla razionalità e sulla logica deduttiva e Van Dine ha scritto nel 1928 venti famose regole che, a suo avviso, dovrebbero essere seguite nello scrivere gialli.
Credo che nemmeno i dieci comandamenti siano stati infranti più volte delle regole di Van Dine e, ritengo, a ragione.
Non condivido al 100% quasi nessuna di queste regole e le riporto qui più che altro a titolo di curiosità storico-letteraria.
- Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.
- Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore.
- Non ci deve essere una storia d’amore troppo interessante. Lo scopo è di condurre un criminale davanti alla Giustizia, non due innamorati all’altare.
- Né l’investigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. Questo non è buon gioco: è come offrire a qualcuno un soldone lucido per un marengo; è una falsa testimonianza.
- Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. Risolvere un problema criminale a codesto modo è come spedire determinatamente il lettore sopra una falsa traccia, per dirgli poi che tenevate nascosto voi in una manica l’oggetto delle ricerche. Un autore che si comporti così è un semplice burlone di cattivo gusto.
- In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorìo non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema.
- Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell’assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore dev’essere remunerato!
- Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici. Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la lettura del pensiero, suggestione e magie, è assolutamente proibito. Un lettore può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali: se deve competere anche con il mondo degli spiriti e con la metafisica, è battuto “ab initio”.
- Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo “deduttore”, un solo “deus ex machina”. Mettere in scena tre, quattro, o addirittura una banda di segugi per risolvere il problema significa non soltanto disperdere l’interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c’è più di un poliziotto il lettore non sa più con chi stia gareggiando: sarebbe come farlo partecipare da solo a una corsa contro una staffetta.
- Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona, cioè, che sia divenuta familiare al lettore, e lo abbia interessato.
- I servitori non devono essere, in genere, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.
- Ci deve essere un colpevole e uno soltanto, qualunque sia il numero dei delitti commessi. Il colpevole può aver naturalmente qualche complice o aiutante minore: ma l’intera responsabilità e l’intera indignazione del lettore devono gravare sopra un unico capro espiatorio.
- Società segrete associazioni a delinquere “et similia” non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. Certo anche al colpevole deve essere concessa una “chance”: ma accordargli addirittura una società segreta è troppo. Nessun delinquente di classe accetterebbe.
- I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. Vanno cioè senz’altro escluse la pseudo-scienza e le astuzie puramente fantastiche, alla maniera di Giulio Verne. Quando un autore ricorre a simili metodi può considerarsi evaso, dai limiti del romanzo poliziesco, negli incontrollati domini del romanzo d’avventure.
- La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall’inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, s’egli fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il libro sino alla fine. Il che – inutile dirlo – capita spesso al lettore ricco d’istruzione.
- Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di “atmosfera”: tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l’azione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Si capisce che ci deve essere quel tanto di descrizione e di studio di carattere che è necessario per dar verosimiglianza alla narrazione.
- Un delinquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. I delitti dei banditi riguardano la polizia, non gli scrittori e i brillanti investigatori dilettanti. Un delitto veramente affascinante non può essere commesso che da un personaggio molto pio, o da una zitellona nota per le sue opere di beneficenza.
- Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. Terminare una odissea di indagini con una soluzione così irrisoria significa truffare bellamente il fiducioso e gentile lettore.
- I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente personali. Congiure internazionali ecc. appartengono a un altro genere narrativo. Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni.
- Ed ecco infine, per concludere degnamente questo “credo”, una serie di espedienti che nessuno scrittore poliziesco che si rispetti vorrà più impiegare; perché già troppo usati e ormai familiari a ogni amatore di libri polizieschi. Valersene ancora è come confessare inettitudine e mancanza di originalità:
a) scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati;
b) il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisca il colpevole e lo induce a tradirsi;
c) impronte digitali falsificate;
d) alibi creato grazie a un fantoccio;
e) cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia;
f) il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente;
g) siringhe ipodermiche e bevande soporifere;
h) delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso;
i) associazioni di parole che rivelano la colpa;
l) alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra.
Tratto da “Guida al giallo” di R. Di Vanni – F. Fossati, Ed. Gammalibri 1980
Brano sulle regole di Van Dine trovato su http://www.cameragialla.it/authors/vandine20.htm